Tragedia lirica in due atti. Musica di Vincenzo Bellini. Libretto di Felice Romani.
Prima rappresentazione: Teatro La Fenice, Venezia, 11 marzo 1830
Giulietta Benedetta Torre
Romeo Annalisa Stroppa
Tebal Matteo Falcier
Loren Matteo Guerzè
Capellio Baopeng Wang
Maestro Concertatore e Direttore Sebastiano Rolli
Regia Andrea De Rosa
Scene Daniele Spanò
Costumi Ilaria Ariemme
Luci Pasquale Mari
Assistente alla regia Luca Baracchini
Assistente alle scene Laura Pigazzini
Assistente ai costumi Elena Gasparotto
Maestro del coro Diego Maccagnola
Coro di OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coproduzione Teatri di OperaLombardia, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Nuovo allestimento
LA TRAMA
Atto I
Verona, XIII secolo. La città è dilaniata dalla lotta che oppone la famiglia guelfa dei Capuleti a quella ghibellina dei Montecchi. Capellio, principale esponente dei Capuleti, ha chiamato i suoi a raccolta per esortarli alla lotta contro la fazione avversaria e per informarli di come Romeo, capo dei Montecchi, abbia ucciso suo figlio. Contro il parere di tutti, Lorenzo suggerisce di ascoltare il messaggero dei Montecchi con proposte di pace. Capo della fazione guelfa è Tebaldo, che promette a Capellio di vendicare il figlio col sangue di Romeo. A Tebaldo Capellio offre in sposa la figlia Giulietta ed ordina che le nozze vengano celebrate la sera stessa. Lorenzo, che conosce il segreto legame della fanciulla con Romeo Montecchi, sconsiglia il matrimonio accampando il pretesto della malattia di Giulietta. Tebaldo si dichiara pronto a rinunciare alle nozze, ma Capellio lo rassicura che Giulietta sarà eternamente devota a chi vendicherà il fratello ucciso. Giunge, intanto, l’ambasciatore dei Montecchi con proposte di pace: non è altri che Romeo, rientrato in Verona sotto mentite spoglie. Propone che la pace sia suggellata dalle nozze tra Romeo e Giulietta, ma Capellio rifiuta sdegnato, rinnovando i suoi propositi bellicosi. Intanto Giulietta, sola nei suoi appartamenti, compiange la sua sorte e invoca l’amato Romeo. Lorenzo le rivela che il giovane è tornato in città e lo introduce segretamente nella stanza di Giulietta. Romeo si getta nelle braccia dell’amata; alla sua proposta di fuggire con lui, la giovane rifiuta in nome del dovere e dell’obbedienza filiale. Romeo cerca di persuadere Giulietta, che, al risuonare della musica nuziale, si lascia convincere a mettersi in salvo. Nel palazzo di Capellio dame e cavalieri festeggiano le imminenti nozze di Giulietta con Tebaldo. Romeo, introdottosi tra i convitati in abiti guelfi, confida a Lorenzo che mille ghibellini armati sono penetrati in Verona. Lorenzo cerca invano di convincerlo ad allontanarsi da Verona e a rinunciare ai suoi propositi. Un tumulto in lontananza: i Montecchi assalgono un gruppo di Capuleti. Mentre si spegne il clamore, Giulietta giunge in abito da sposa, in ansia per l’esito dello scontro. Romeo cerca nuovamente di convincerla a seguirlo, ma irrompono Tebaldo e Capellio, alla testa dei guelfi armati. Romeo, riconosciuto, riesce a sottrarsi all’ira dei nemici solo grazie all’intervento dei Montecchi.
Atto II
Giulietta è sola nei suoi appartamenti: la battaglia è ripresa e la fanciulla attende, in ansia, che Lorenzo le comunichi l’esito dello scontro. Apprende che Romeo è salvo, ma che l’indomani sarà costretta a sposare Tebaldo. Lorenzo convince Giulietta a bere un filtro in grado di simulare la morte. Giunge Capellio, che Giulietta scongiura di abbracciarla; questi è turbato, ma mette a tacere i propri rimorsi. Manda a cercare Tebaldo e gli ordina di sorvegliare Lorenzo, di cui comincia a diffidare. In una via di Verona, intanto, Romeo – allarmato dalla mancanza di notizie – è in cerca di Lorenzo. S’imbatte in Tebaldo, che lo sfida a duello; ma sul punto di battersi, i due rivali sono trattenuti da una musica funebre: è il corteo che accompagna alla tomba Giulietta, che tutti credono morta. Romeo giunge sulla tomba di Giulietta e, colto da delirio, si rivolge all’amata. Dopo aver ordinato ai suoi di allontanarsi, invoca la salma di Giulietta e si avvelena. Giulietta si risveglia e scorge il giovane amato che pensa sia là perché avvertito da Lorenzo. Appresa la terribile verità, i due amanti si stringono in un ultimo abbraccio; Romeo muore e Giulietta cade riversa sul suo corpo. Giungono i Montecchi, inseguiti da Capellio e dai suoi: di fronte alla tragica scena, Capellio sente ricadere su di sé tutte le conseguenze dell’odio tra le due fazioni nemiche.
NOTE DI REGIA
di Andrea De Rosa
Nella storia resa immortale da William Shakespeare, Romeo e Giulietta sono due ragazzi schiacciati dalla ottusità dei propri genitori.
La forza del loro amore risplende nella semplicità dei loro nomi propri, Romeo e Giulietta, mentre le loro rispettive famiglie sembrano vivere solo per affermare la grandezza del loro cognome, della loro casata, della loro storia. I Capuleti e i Montecchi, rispettivamente delle fazioni dei guelfi e dei ghibellini, si identificano nell’odio reciproco, sembrano vivere per quello, trovano appagamento nel rispecchiarsi in questi blasoni familiari che hanno generato solo violenza e vittime. Nel testo di Shakespeare, la morte di Tebaldo (Capuleti) e di Mercuzio (Montecchi) avviene davanti ai nostri occhi ma quei due ragazzi sono solo le ultime vittime di una lunga catena che, vendetta dopo vendetta, assassinio dopo assassinio, sembra non dover avere mai fine.
Nella sintesi della trama operata da Felice Romani, molti personaggi e molti episodi del testo shakespeariano vengono sacrificati ma il dolore per tutti quei lutti insensati trasuda ugualmente da ogni parte nella musica di Bellini che anzi, proprio grazie al sacrificio delle trame secondarie, rende ancora più spietata la crudeltà familiare e, attraverso pagine musicali indimenticabili, riesce a penetrare in profondità nell’animo di Romeo e di Giulietta, la cui morte ci commuove e ci atterrisce.
Ho deciso di trasportare l’ambientazione della trama ai nostri giorni. Approfittando del fatto che il ruolo di Romeo deve essere interpretato da una soprano, ho deciso inoltre di lasciare le sembianze femminili alla cantante che lo interpreta, senza travestirla da uomo. In questo modo la ribellione contro il grigio assetto sociale basato sulla convenzione, sulla violenza e sul terrore, che oggigiorno si esprimono in forme diverse ma non per questo meno dolorose e laceranti, verrà visto attraverso gli occhi di due ragazze di oggi, di fronte al cui travolgente amore tutto passa in secondo piano, anche l’identità sessuale.
Capuleti, Montecchi, guelfi, ghibellini, uomo, donna… alla fine solo l’amore conta. L’amore travolgente di due ragazzi, l’amore eterno di Romeo e di Giulietta.
NOTE DEL DIRETTORE
di Sebastiano Rolli
La dimostrazione dell’asserto secondo il quale la cultura occidentale sia forma prima ancora che contenuto, la possiamo rinvenire nell’opera di Bellini. Invano ci aspetteremo dal genio catanese l’immedesimazione teatrale nel dramma espressa attraverso una stanislavskiana riviviscenza; invano attenderemo il vivere i contenuti realisticamente così come i quotidiani modelli espressivi ci hanno gradualmente abituati. In Bellini è il significante a prevalere sul significato, la semantica sul segno; il suono diventa dramma, la melodia si trasforma in azione teatrale, la forma musicale architettura della pulsione vitale dei personaggi. Il primato dell’accento è il primato della forma sonora e del colore delle sillabe a prescindere dal significato, onde l’annosa diatriba tra parola e musica che corre lungo la storia del melodramma la cui soluzione è anticipata negli scritti del Cardinal Pietro Bembo. Da qui il grande equivoco che porta a ritenere Bellini poco teatrale. La teatralità in Bellini c’è, la tensione si avverte, ma va ricercata altrove… in luoghi altri rispetto a quelli di autori che hanno influenzato ben più di lui lo sviluppo del melodramma italiano. Bellini rimane un unicum “nel tempio dell’arte (…) in una nicchia ove sta solo”, senza eredi, senza seguito apparente se non il solo Wagner. È nella melodia infinita del genio di Lipsia che va ricercata la poetica belliniana, nella Sehnsucht che produce mito (racconto) ciclico e quindi eterno. Sono le Norne della Götterdämmerung che tessono senza mai stancarsi il filo della storia umana ad essere abitate dalle note oltremare di Bellini. La sua opera deve, pertanto, essere interpretata quale sublimazione del dramma apparente affinché il puro segno musicale e formale divenga esso stesso valore espressivo. In nessun altro autore il dramma si risolve, si perde e si confonde altrettanto totalmente nella musica, nel suono: le scelte melodiche, capaci di creare vere e proprie zone di sospensione temporale, vengono esaltate da un sostegno armonico che vuole sottolineare i confini espressivi dei personaggi. I rapporti cadenzali che uniscono costantemente Giulietta e Romeo, creano relazioni fortissime in grado di legare indissolubilmente le loro anime. La perizia compositiva, messa a dura prova da un tempo di lavorazione di meno di un mese e mezzo (tanto che dovette rimaneggiare molta musica scritta per la Zaira, opera inaugurale nel 1829 il teatro Ducale di Parma con esito sfavorevole), non toglie acribia alle indicazioni espressive, testimoni di grande consapevolezza e attenzione ai valori della declamazione teatrale, del Recitar cantando. Bellini è l’operista più sinfonico della scuola italiana almeno sino all’ultimo Verdi; I Capuleti e Montecchi sono una sinfonia con voci nella quale il popolaresco di riminiscenza leopardiana (si pensi allo Zibaldone), la nostalgia dell’infinito tipica della cultura mediterranea e l’anelito romantico alla Bellezza si mescolano a formare una struttura nella quale le voci diventano strumenti e gli strumenti voci. Le “melodie lunghe lunghe lunghe come nissuno ha fatto prima di lui” si manifestano già nei recitarivi. Tutto è legato, tutto costituisce una struttura musicale solida: le forme trasfigurano le une nelle altre in modo naturale; tanto naturale che la verticalità d’esecuzione non è valore prioritario. Al pari di un Notturno di Chopin, la pagina di Bellini non chiede precisione ma espressione, qualora essa si inserisca in quello stile che portava a teatro il pubblico per trovarsi in mezzo alla bellezza, alla sublimazione delle passioni. Romantico non è sentimentale, è superamento dell’io, è fede positiva nella vocazione qualunque essa sia, abbandono al sentimento qualora esso si lasci guidare dalle morbide catene della forma. Eseguire Bellini, oggi, significa interrogarsi su un mondo musicale archetipico, un codice che affonda le radici nel melodramma di Monteverdi (l’utilizzo dell’eco potrebbe addirittura ricondurci ai fiamminghi: a Orlando di Lasso e alle Prophetiae Sibyllarum, ma anche alla scuola romana di Palestrina, Da Victoria o Allegri); ma che apre una via che verrà raccolta solo da Wagner. Non è nell’ultimo Verdi che va ricercato Wagner: se i risultati possono coincidere, le strade percorse rimangono comunque opposte; è Bellini che precede l’opera sinfonica, è Bellini che porta a scoprire quanto il suono possa diventare tragedia in atto. Sì, Bellini esige un approccio filologico laddove si intenda l’aggettivo nel suo significato etimologico: amore per il pensiero. Non mi perderò in tecnicismi a buon uso della critica o degli addetti ai lavori: l’approccio filologico che attueremo sarà indirizzato a mettere in evidenza la misura in cui tornare allo stile e alla prassi esecutiva, possa aiutare a perdersi nell’oceano belcantista del grande catanese. Variazioni, alleggerimento dei pesi orchestrali, assimilazione della terzina, integrità dello scritto, elasticità ritmica del fraseggio, attenzione ai valori declamatori, cambi di registro attoriale… Tutto questo è solo strumento, mezzo per arrivare a perdersi in un teatro dimentico del teatro, in una sinfonia nella quale il beethoveniano Bellini ci spinge a trascendere la banalità dell’entrare e uscire di scena: Bellini si è tolto di scena!