PocketOpera – IX edizione
Dramma comico in due atti. Musica di Gioachino Rossini
Libretto di Cesare Sterbini dalla commedia Le barbier de Séville di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Argentina, 20 febbraio 1816
Il conte d’Almaviva Marco Mustaro, Stefano Sorrentino
Bartolo Giovanni Romeo
Rosina Olesya Chuprinova, Marianna Vinci
Figaro Gabriele Nani, Francesco Paolo Vultaggio
Don Basilio Costantino Finucci
Fiorello / Ufficiale Daniele Caputo, Luca Vianello
Berta Nancy Lombardo
Direttore
Antonio Greco
Regia
Danilo Rubeca
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Anna Cavaliere
Light designer Matteo Discardi
Ensemble corale AsLiCo
Orchestra 1813
Nuovo allestimento
Produzione AsLiCo
Atto I
In una piazza di Siviglia, il Conte d’Almaviva vuole conquistare con una serenata il cuore di una fanciulla conosciuta a Madrid qualche tempo prima. Ma le pur eleganti parole non sortiscono alcun effetto e l’alba consiglia una prudente ritirata. Le speranze di vedere l’amata ancora non sono cessate, quando un allegro canticchiare annuncia l’arrivo dell’importuno Figaro, un barbiere amico di antica data. Messo al corrente delle intenzioni del Conte egli si dichiara disposto ad aiutarlo; la fortuna vuole che la fanciulla sia ben conosciuta dal barbiere, che svolge in casa di Rosina le sue fin troppo eterogenee mansioni. La porta della casa si apre in quel momento per lasciarne uscire don Bartolo, anziano medico e tutore della ragazza, della quale ambisce la mano. Figaro pretende che l’innamorato canti ancora e comunichi alla ragazza il suo nome ed il suo amore. Questa volta la serenata sortisce miglior effetto e Rosina, la fanciulla, accenna brevemente a una risposta. L’accordo tra il Conte e Figaro è presto raggiunto: nel pomeriggio arriva un reggimento di soldati e, con un ordine di alloggio, il corteggiatore potrà entrare nella casa dell’amata e parlarle. Rosina si prepara per prendere contatto con lo sconosciuto ammiratore; ha già scritto un biglietto per lui e pensa al modo migliore per farglielo avere. In quel momento entra Figaro che mette al corrente la fanciulla della passione che anima il suo amico, presentato come un suo cugino di nome Lindoro: è però interrotto dal sospettoso don Bartolo, che indaga sulla sicurezza della sua casa. Ne è ospite abituale don Basilio, insegnante di musica, amico del proprietario e gran imbroglione, che porta la notizia dell’arrivo in città del Conte d’Almaviva: per liberarsene qualsiasi mezzo sarà valido, persino una calunnia. Figaro e Rosina prendono accordi per mettersi in contatto con il conte; gli basterà avere solo un piccolo segno d’incoraggiamento, un biglietto che Rosina ha già preparato. Figaro parte, mentre un violento bussare alla porta annuncia Almaviva, travestito da soldato e finto ubriaco, che entra in casa col pretesto dell’alloggio. Le scuse di don Bartolo sono inutili e Lindoro, approfittando della confusione creatasi, porge un biglietto a Rosina; il tutore se ne accorge e protesta vivacemente: ne nasce un parapiglia che sarà interrotto solo dall’arrivo della polizia. Ognuno cerca di spiegare le proprie ragioni all’ufficiale in comando. Ma nella incredulità di tutti (tranne Figaro), Lindoro non solo non viene arrestato, ma esce riverito dall’ufficiale della guardia.
Atto II
Don Bartolo è rincasato da poco: si è recato al reggimento in cerca del soldato per saperne di più, ma non è riuscito ad averne notizia. Si presenta Almaviva, travestito questa volta da religioso: don Alonso, allievo di don Basilio, venuto per sostituire il maestro nella rituale lezione di canto di Rosina. Per scusare l’assenza di don Basilio egli lo dice ammalato, e per meglio convincere il sospettoso tutore, gli mostra un biglietto di Rosina come se fosse caduto in mano sua per pura fatalità. Con questo mezzo, narra, vorrebbe indurre la fanciulla a credere in un tradimento dell’innamorato. La lezione ha così inizio e i giovani si possono finalmente parlare, grazie anche alla complicità di Figaro, intervenuto per radere don Bartolo. Il barbiere riesca anche a prendere la chiave della stanza di Rosina. Quando tutto però sembra finire per il meglio entra don Basilio, tra lo stupore di don Bartolo e la rabbia di Figaro. Il Conte regala una borsa d’oro all’importuno e riesce a convincere don Bartolo che la presenza di don Basilio sarebbe dannosa al tentativo di convincere Rosina del tradimento del corteggiatore. Ma neppure dopo l’uscita del maestro di musica, gli innamorati possono godere di un momento di tranquillità: don Bartolo ravvisa in don Alonso il soldato della mattina, l’amico, come crede, del suo antagonista; anche questa volta la soluzione migliore è la fuga. È ormai notte e il maltempo imperversa su Siviglia; nonostante il temporale Figaro e il Conte giungono puntuali all’appuntamento, ma trovano Rosina sdegnata contro ambedue. Il tutore l’ha infatti convinta che Lindoro cerca di rapirla per consegnarla nelle mani di Almaviva. L’equivoco è chiarito ben presto e, approfittando nel frattempo della presenza di don Basilio e del notaio, i due innamorati stendono il contratto nuziale. Al tutore, rientrato in quel momento con la polizia, non resta altro che prendere atto dei fatti accaduti e riconoscere nell’importuno il Conte Almaviva in persona. Tutti si uniscono a celebrare il trionfo di questo amore contrastato.
UN’OPERA DEGNA DI BIASIMO
Nello scrivere questa prefazione, il mio scopo non è cercare oziosamente di sapere se ho messo in scena una commedia buona o cat- tiva – non è più tempo per cose del genere; ma piuttosto esaminare scrupolosamente (dovere cui sempre mi attengo) se ho fatto un’opera degna di biasimo. Dato che nessuno è tenuto a fare una commedia che assomigli alle altre, se io, per ragioni che ho ritenuto fondate, mi sono allontanato da un cammino troppo battuto, mi si vorrà giudicare, come certi signori hanno fatto, in base a regole che non sono mie?
Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, Prefazione a Le nozze di Figaro
La prima volta che incontriamo Figaro nell’opera di Rossini lo vediamo dirigersi di corsa verso la sua bottega. È l’alba e il nuovo giorno sta per iniziare, come sempre ricco di mille avventure. Non siamo sicuri che gli interessi molto il lavoro di barbiere, ma possiamo giurare che farà di tutto per contentare i capricci di chiunque richieda i suoi servigi. Soprattutto quando c’è di mezzo l’amore e se può ricavarne qualche soldo per sé. Figaro non è mai nella sua bottega. Lo troviamo un po’ ovunque, secondo il caso o la necessità. Come un vero deus ex-machina giunge sempre al momento giusto nel posto giusto. È un personaggio che afferra, ma non si lascia afferrare.
Eppure chi di noi non vorrebbe curiosare nella sua bottega? Scoprire i trucchi, i mille oggetti che nasconde? Carpirne i segreti? Nessun problema: Figaro ci dice esattamente dov’è. Ma è una ‘precauzione inutile’: sarà lui a trovarci al momento opportuno e se anche giura che lo troveremo là, non ne saremo mai troppo sicuri.
Perché la vera bottega di Figaro è la strada, la realtà che lo circonda. Le persone, gli oggetti e le situazioni in cui si imbatte sollecitano la sua fantasia, lo stimolano. Ed egli manipola tutto con arguzia, sapientemente. Ha una mente sottile e uno spirito pronto.
Figaro rappresenta il nuovo. Un nuovo che si impone non per diritto divino o per privilegi acquisiti, ma per una naturale attitudine a portare tutto a suo favore. Organizza, dirige e tutto avviene nella sua mente.
Ma come rappresentare questo sulla scena? Perché quello che mi sembra più interessante non è il luogo fisico, realistico in cui si muovono i diversi personaggi del Barbiere di Siviglia, quanto piuttosto il luogo mentale, meta-teatrale in cui tutto questo si realizza e trova senso: la mente del protagonista.
Mi è venuto in aiuto un ricordo di qualche anno fa. Mi trovavo a Venezia per la Biennale d’Arte – doveva essere il 2009 -, e tra i lavori esposti in mostra ce n’era uno che mi colpì particolarmente: Schattenspiel (Gioco d’ombre) di Hans-Peter Feldmann. In questa installazione gli oggetti erano tutti disposti sin dall’inizio su una serie di tavoli da lavoro, apparentemente senza un ordine logico. Nessun colpo di scena, nessun movimento o qualcuno che li utilizzasse in qualche modo. Era già tutto svelato. A creare un ritmo e, conseguentemente, una drammaturgia era soltanto la luce che, illuminandoli opportunamente, dava vita a movimenti e rapporti sempre differenti tra le ombre proiettate su uno schermo.
Qualche tempo dopo ho conosciuto il lavoro di Mauricio Kagel, musicista argentino naturalizzato tedesco, famoso per aver sviluppato l’aspetto teatrale dell’esecuzione musicale. Le sue sono opere di mirabilia, una vera e propria drammaturgia musicale degli oggetti, alcuni di essi tra i più banali e comuni della vita quotidiana (buste di plastica, sedie, vinili, vasi da notte e persino una peretta per clistere). Sono gli oggetti a creare la musica, secondo l’uso e il ritmo che il compositore demiurgo impone ai suoi interpreti.
oggetti, che è quello che intendo rappresentare.
Sulla scena vedremo la bottega ideale di Figaro: la sua mente, la realtà che lo circonda. Una realtà ricca di oggetti il cui senso verrà svelato via via dal protagonista, secondo l’uso che vorrà farne. Che si tratti di orologi, strumenti da barbiere, guardaroba, libri, rotoli di pergamene, strumenti musicali, la maquette di un teatro, un busto di Rossini, scale, nature morte, sfere di cristallo, piante, le tavole dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, quello che importa è che a dare loro un significato, a farle vivere per noi sarà solamente la fervida immaginazione del protagonista. Persino la casa di Bartolo verrà via via inglobata, assorbita e per così dire colonizzata dagli oggetti di Figaro. Perché gli oggetti rappresentano Figaro stesso, sono la sua realtà e non è dato di conoscerne un’altra. Drammaturgia degli oggetti, ma ancor di più drammaturgia dei colori, che degli oggetti stessi sono l’anima e la vita. Il mondo di Figaro e quello di Bartolo saranno quindi rappresentati da colori differenti: blu il primo, quello del cielo che solo chi vive per strada, tra la gente, può cogliere in tutte le sue sfumature; quello della libertà e dell’immaginazione; quello dello spirito, di cui vedremo tutte le prodezze. Bianco il secondo, asettico, colore ‘non colore’ per eccellenza, che evoca l’ambiente claustrofobico della casa in cui è co- stretta a vivere Rosina da reclusa. Ma sul bianco è sempre possibile scrivere, sovrapporre altre tinte, creare nuove sfumature. Il bianco appartiene a un mondo, quello della protagonista, asettico sì, ma ancora tutto da colorare e da riscrivere. E saranno proprio gli oggetti di Figaro a farlo, inondandolo di blu e aprendo una finestra sull’amore, la libertà, la vita.
Epoca: 1816
… E venne Rossini. Rossini è un Titano. Titano di potenza e d’audacia. Rossini è il Napoleone di un’epoca musicale.
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica, 1835.
Poiché la scena risulterà ricca di oggetti e che proprio questi oggetti dovranno essere i protagonisti assoluti dell’opera, mi sono chiesto se un’ambientazione settecentesca fosse la soluzione migliore. Fermo restando che non voglio rinunciare al colore tipicamente spagnolo dei costumi, sento però il bisogno di rendere il tutto il più snello possibile, considerando anche le proporzioni della scena, piuttosto ridotte. Allo stesso tempo, però, non vorrei allontanarmi troppo dall’epoca in cui il Barbiere di Siviglia fu scritto e ambientato. Penso quindi che lo stile tardo-impero dell’epoca in cui Rossini compose e diede alle scene il Barbiere di Siviglia possa adattarsi pienamente a tali necessità. Le linee asciutte tipiche dello stile napoleonico infatti permettono di giocare maggiormente sui colori, sui volumi e sulle forme degli accessori, in modo da caratterizzare gli abiti e le acconciature in modo più ironico.
Danilo Rubeca