PocketOpera – VIII edizione
Dramma in quattro parti di Giuseppe Verdi. Libretto di Salvadore Cammarano,
dal dramma El Trovador di Antonio García-Gutiérrez.
Arrangiamento musicale Enrico Minaglia
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853
Conte di Luna Alexandru Aghenie
Leonora Cristina Giannelli
Azucena Cinzia Chiarini
Manrico Ji Myung Hoon
Ferrando Roberto Lorenzi
Ines Laura Tutu
Ruiz Saverio Pugliese
Direttore
Francesco Cilluffo
Regia, scene e costumi
Matteo Mazzoni
Progetto video
Fabio Massimo Iaquone, Luca Attili
Light designer
Matteo Mazzoni
Ensemble corale AsLiCo
Orchestra 1813
Nuovo allestimento
Produzione AsLiCo
nel bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi
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Atto I Il duello
Ferrando narra agli armigeri del Conte di Luna la storia di un zingara, condannata al rogo per stregoneria, la cui figlia, per vendicarsi, aveva rapito uno dei due figli del conte – ancora in culla – e l’aveva bruciato. Una nobile dama, Leonora, narra alla sua confidente Ines di amare uno sconosciuto cavaliere, incontrato in un torneo, il quale viene nottetempo a trovarla, accompagnando i suoi canti con il liuto. Compare il Conte di Luna, figlio dell’omonimo conte al quale era stato rapito il bambino, rivale in amore del Trovatore. Quando questi giunge, il Conte di Luna lo sfida a rivelare il proprio nome e l’altro dichiara d’essere Manrico, seguace dell’eretico Urgel. I due si allontanano per battersi.
Atto II La gitana
Su un monte della Biscaglia alcuni zingari al lavoro cantano, battendo ritmicamente i martelli sulle incudini. Azucena narra in disparte a Manrico che una zingara, bruciata perché accusata di stregoneria, le aveva chiesto, prima di morire, di vendicarla. Era sua madre e Azucena aveva rapito un bambino, figlio del Conte di Luna, con l’intento di bruciarlo. Ma, frastornata, aveva gettato tra le fiamme il proprio figlioletto e non il bambino rapito. Manrico è sorpreso e turbato, ma Azucena lo rassicura: se non fosse sua madre non avrebbe curato amorosamente le ferite da lui riportate in una vittoriosa battaglia. Ma perché, quando il Conte di Luna era piombato su di lui con i suoi, non l’aveva ucciso? Manrico non sa spiegarselo. Azucena gli fa giurare che, se in futuro dovesse ancora battersi con il conte, non avrà pietà. Giunge poi un messo e narra che Leonora, credendo morto Manrico, sta per farsi suora. Manrico, ignorando le preghiere di Azucena, balza a cavallo e piomba sul Conte di Luna, che si accinge a rapire Leonora.
Atto III Il figlio della zingara
Sfilano gli armigeri del Conte di Luna, il quale assedia Castellor, difesa da Manrico e dai suoi; subito dopo è catturata una zingara sorpresa in attitudine sospetta. In lei Fernando riconosce chi aveva rapito e dato alle fiamme il fratellino del conte. Torturata, Azucena invoca l’aiuto del figlio Manrico. In Castellor, Manrico e Leonora sono sul punto di sposarsi allorché Ruiz avverte Manrico che il Conte di Luna ha già fatto accendere la pira sulla quale Azucena sarà bruciata. Manrico, disperato, si affretta a salvare la madre.
Atto IV Il supplizio
Leonora si aggira nei pressi del palazzo dove il conte ha imprigionato Manrico. Al suo orecchio giunge la voce di Manrico, che invoca la morte e le invia l’estremo saluto. Leonora promette allora al conte il proprio corpo in cambio della salvezza di Manrico. In prigione, sono rinchiusi Manrico e Azucena. Sopraggiunge Leonora e annuncia a Manrico che è libero; ma quando Manrico apprende a quali condizioni, inveisce contro di lui, ravvedendosi tuttavia quando Leonora gli rivela d’essersi avvelenata e lo esorta alla fuga. Il Conte di Luna trova Leonora morente e ordina che Manrico sia giustiziato. A esecuzione avvenuta, Azucena, morente, gli rivela che Manrico era suo fratello, da lei rapito bambino.
Ho scelto di raccontare questa vicenda così densa di passioni e contrasti, a tinte così fosche, traducendola ed avvicinandola alla sensibilità della retina dello spettatore moderno, utilizzando l’attuale tavolozza colori dei principali mezzi di espressione e comunicazione visiva, ovvero il cinema e la televisione…
Riaffora così il fantasma del Medioevo, evocato da stralci, ricordi, immagini, che appaiono e scompaiono con un gioco di dissolvenze su forme morbide e indefinite, mentre altri interventi video di natura narrativa sottolineano graficamente i momenti drammaturgici centrali della vicenda.
D’altra parte, l’accurata ricostruzione storica sui costumi, implica il riconoscimento e l’approfondimento del contesto originale in cui è ambientata la narrazione, proiettando il pubblico in una dimensione onirica senza tempo, composta da simboli riconducibili al passato e da tracce del mondo di oggi.
Matteo Mazzoni