2012 La traviata
2012 La traviata
2012 La traviata
2012 La traviata
2012 La traviata

2012 La traviata

PocketOpera – VII edizione

Melodramma in tre atti. Musica di Giuseppe Verdi. Libretto di Francesco Maria Piave,
dal dramma La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio.
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853

Adattamento musicale Enrico Minaglia
Violetta Valéry Elena Monti
Flora Bervoix Lara Rotili
Annina Bianca Tognocchi
Alfredo Germont Davide Giusti
Giorgio Germont Valeri Turmanov
Gastone Saverio Pugliese
Il Barone Douphol Mirko Quarello
Il Marchese D’Obigny Daniele Piscopo
Il Dottor Grenvil Marian Reste

Coro Elsa Galasio, Veronica Ghisoni
Valeria Letizia, Alessandro Mundula

Direttore
Francesco Pasqualetti

Regia
Fabio Ceresa

Scene Nicolas Bueno Belmonte
Costumi Alessandro Lanzillotti

Light designer Paolo Coduri de’ Cartosio
Coreografie Milena Bisacco

Orchestra 1813

Nuovo allestimento
Produzione AsLiCo

 

 

Atto I

Un’affiatata compagnia di gaudenti aristocratici e compiacenti damigelle si è riunita per trascorrere l’ennesima notte di piaceri. Un po’ disorientato è Alfredo Germont, fattosi introdurre dall’amico Gastone col proposito di conoscere personalmente la padrona di casa, oggetto di segreta passione. Violetta si fa celia di tante attenzioni e per sdrammatizzare propone un brindisi collettivo. La festa prosegue e nel salone contiguo si aprono le danze; gli invitati accorrono, ma un accesso di tosse frena l’uscita di Violetta, che indugia, assistita da Alfredo. Alle profferte amorose dell’uno si mescolano le ricuse divertite dell’altra, che a un uomo non può promettere altro che amicizia. Catturati nuovamente dal turbinio della festa, i due si danno appuntamento per il giorno seguente. È ormai l’alba e Violetta, rimasta sola, medita turbata sull’effetto sortito in lei dalle parole di Alfredo: che sia forse giunto il giorno del suo primo vero amore, il momento di «essere amata amando»? No di certo. Il destino di Violetta è ben altro: continuare nella sua condizione di gaudente indipendenza sociale.

Atto II

In una casa di campagna presso Parigi, Alfredo vive serenamente con Violetta. Ma la servetta Annina, testé giunta da Parigi, lì inviata dalla padrona per alienare i beni restanti e finanziare così la nuova esistenza. Alfredo corre egli stesso a Parigi, per cercare una soluzione adeguata. Rientra Violetta, che sorride di un invito che le giunge dai vecchi amici per la sera stessa: non è più vita per lei! Ed ecco piombare inatteso il padre d’Alfredo che chiede alla donna una netta recisione della convivenza peccaminosa. Violetta oppone tutto il suo disinteressato amore per Alfredo a quello ipocrita dei matrimoni combinati fra l’alta società, ma il vecchio Germont è irremovibile. La donna cede e l’accordo è presto fatto. Rimasta sola, Violetta si appresta a scrivere la lettera mendace per Alfredo; da questi sorpresa, si abbandona ad una straziante richiesta d’amore. Violetta fugge verso Parigi; la lettera viene recapitata all’amato pochi minuti dopo: questi l’apre, la legge e cade disperato fra le braccia del padre. Alfredo si arrovella per scoprire chi possa essere la causa dell’improvviso voltafaccia di Violetta (forse Douphol?), mentre il padre torna all’attacco sul suo fronte moralistico. È invece un foglio abbandonato sul tavolo a colpirlo: l’invito per la sera stessa al solito festino gaudente; è lì che l’offesa verrà vendicata.

Zingarelle e toreri invadono il salone coi loro canti festosi. La notizia della separazione fra i due amanti circola già in società, e l’ingresso disinvolto di Alfredo alla festa viene salutato con approvazione. Giunge Violetta, accompagnata dal barone Douphol. Alfredo sbanca tutti al tavolo da gioco, rivale compreso. I convitati si allontanano per la cena, tranne Violetta, che chiama a sé proprio Alfredo. Lei è costretta ad ammettere di amare Douphol, pur di non svelare il vero, e lui ne denuncia pubblicamente la condotta, gettandole ai piedi una borsa di danaro. Giunge inatteso Germont padre che continua le sue querimonie contro il comportamento indecoroso del figlio, cui si accodano le espressioni di rimorso di Alfredo, le dolenti rimostranze di Violetta.

Atto III

La tisi ha ormai condotto Violetta sul letto di morte. Al capezzale l’assistono ancora la fedele Annina e le cure pietose del medico. La sofferenza e l’indigenza di Violetta contrastano con l’opulenza del carnevale parigino. Unica consolazione in tanta solitudine è una lettera che la donna ha ricevuto da Giorgio Germont: l’informa del duello, in cui il barone è rimasto ferito e della partenza di Alfredo dalla Francia; ragguagliato finalmente dal padre sulla verità degli eventi, sta ora facendo ritorno per farsi perdonare dall’amata. Purtroppo è ormai tardi: Violetta rilegge lo scritto, mentre le forze la abbandonano giorno dopo giorno. Ma ecco Annina annunciare che Alfredo è arrivato, e corre fra le braccia di Violetta. Alla rappacificazione immediata, seguono ottimistici progetti per il futuro; Violetta vorrebbe uscire, ma le forze non la reggono più. Anche Giorgio Germont sopraggiunge per l’ultimo conforto: ma dopo pochi istanti di apparente vigore, Violetta cade esanime.

UNA VECCHIA FOTOGRAFIA SBIADITA

Ricordo che un giorno, ancora bambino, ero seduto al grande tavolo di noce che al tempo mi arrivava al naso, e spiavo la catasta dei giornali Un periodico patinato presentava in copertina la soubrette del momento, sapientemente sdraiata tra velluti rossi, i capelli sciolti, le mani che coprivano il petto, completamente nuda. Mio nonno deve aver giudicato l’immagine sconveniente per un bambino della mia età, perché si era affrettato a far sparire la rivista scambiando con la nonna un’occhiata maliziosa. «Nonna – avevo chiesto – chi è quella signora?». «Diciamo – aveva risposto lei – diciamo che quella signora è una ballerina». Il tono di voce che aveva usato era carico di significato. Non sapevo che nel gergo della vecchia Milano ballerina era il sinonimo convenzionale di un’altra parola, troppo cruda per le mie piccole orecchie. Per quel giorno mi accontentai della riposta, finendo col convincermi che la donna ritratta fosse una ballerina a tutti gli effetti.

Credo di non essere riuscito a guardare quella fotografia per più di qualche istante, ma l’immagine dei velluti rossi mi ossessionò a lungo. Nonostante l’ingenuità del ritratto – la posa artificiosa, la bocca col suo delizioso broncetto, la gamba piegata ad arte per coprire quello che non si poteva vedere – qualcosa mi colpì al cuore. Era come se gli occhi della donna comunicassero uno spaventato imbarazzo, un sussulto di pudore. Tutta l’espressione del volto era velata da un’ombra di rimpianto. L’insieme era così stridente che l’effetto finale ne risultava esaltato: quella che mi era balenata davanti agli occhi era l’immagine stessa della bellezza. Non importava quanti altri sguardi si fossero posati sulla sua pelle: io avevo intravisto tra le pieghe della carta qualcosa che poteva essere l’anima. Un giorno senz’altro sarei riuscito a incontrarla, da grande l’avrei sicuramente sposata. Quel pomeriggio, per la prima volta, mi sono scoperto innamorato.

Oggi mi trovo a concepire un nuovo allestimento per La traviata, e devo ringraziare quel ricordo sfocato se Violetta ha iniziato a vivere davanti ai miei occhi. Improvvisamente intorno a lei hanno preso forma i velluti rossi, e i velluti sono diventati piume, veli, gioielli, profumi, e grandi specchi, lampadine sfavillanti, tavoli da trucco. Ho sbirciato nel camerino dove si cambia tra un numero e l’altro. Nella mia testa sono esplose le luci di un intero quartiere parigino, la frenesia dei brillanti, le insegne dei café chantant, le mille ragazze che mostrano le gambe, che ridono tra i boa di struzzo e annegano i sogni nelle bollicine dorate dello champagne; e socchiudendo gli occhi, appare un bicchiere di cristallo sorretto dalle piccole dita della donna più desiderata della capitale. Eccola la mia Violetta, con i suoi occhi tristi. Ecco dove si era nascosta la ballerina della mia infanzia: occhieggiando sinuosa, mi chiedeva di raccontare sulla scena le emozioni di quel pomeriggio lontano. Abbiamo così deciso di concepire una scena unica per dare vita ai tre atti dell’opera. Ci troviamo nel camerino degli artisti dove le ballerine si cambiano tra un numero e l’altro. Quattro tavolini da trucco, un tavolo da gioco, una dormeuse per inquadrare l’idea di uno spazio frenetico, un moto perpetuo di ciprie e di bustini ricamati; una scaletta porta all’immaginario palco del nostro teatro parigino, di cui vediamo filtrare le luci di scena da una grata sul fondo.

Mi piace pensare che anche Alfredo si sia innamorato in un modo molto simile al mio. Forse ha visto quella stessa immagine all’ingresso del teatro, un ritratto in posa equivoca sulla locandina di uno spettacolo notturno. Avrà riconosciuto in quegli occhi la stessa tristezza che avevo notato anch’io. E avrà deciso di salvare quella donna dal mondo, di proteggerla con il palmo come si fa con la fiamma di una candela. Sarà tornato a vedere tutti gli spettacoli nella speranza di incontrarla, aspettandola all’uscita, corrompendo i portieri, avvicinando i suoi compagni di lavoro, riuscendo a sgattaiolare nel suo camerino per poterle finalmente parlare, forse proprio nel preciso istante in cui comincia l’opera. Fino al momento in cui, come per me, qualcuno di più vissuto piomberà tra lui e quelle ridicole fantasticherie.

Spero di non rivedere mai la fotografia di quella rivista. Oggi conosco la parola che la nonna non poteva dire, e arrossirei del mio candore; sorriderei di quella pettinatura fuori moda, riconoscerei quella donna e saprei che è invecchiata, in quel suo sguardo non leggerei che una goffa prova di sensualità. Preferisco ricordarla secondo le sensazioni di allora. Violetta è una donna che un bambino è meglio non guardi troppo a lungo. Per quanto bella, agli occhi degli adulti rimane pur sempre una ballerina.

Fabio Ceresa

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