PocketOpera – VII edizione
Dramma giocoso in due atti KV 588. Musica di Wolfgang Amadeus Mozart.
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Prima rappresentazione: Vienna, Burgtheater, 26 gennaio 1790
Adattamento musicale Carlo Tenan
Fiordiligi Maria Tomassi
Dorabella Marianna Vinci
Guglielmo Andrea Vincenzo Bonsignore
Ferrando Mert Süngü
Don Alfonso Mirko Quarello
Despina Paola Leggeri
Direttore
Nicola Marasco
Regia
Silvia Collazuol
Scene e costumi
Accademia di Belle Arti di Brera
Biennio Specialistico in Scenografia Teatrale e Costume
Coordinamento Grazia M. Manigrasso
Scene Davide Bassani, Agnese Bellato
Costumi Alberto Allegretti, Alice Di Nuzzo, Sara Mezzanzanica
Attrezzeria Francesca Ghedini
Light designer Paolo Coduri de’ Cartosio
Orchestra 1813
Nuovo allestimento
Produzione AsLiCo
Atto I
Due giovani ufficiali, Ferrando e Guglielmo, promessi sposi a due sorelle, Dorabella e Fiordiligi, vantano, in presenza del filosofo Don Alfonso, la fedeltà delle fidanzate; Alfonso, scettico, scommette una somma di denaro che anche le due fanciulle sono come tutte le altre, cioè deboli e incapaci di resistere alle tentazioni. Nel giardino della loro casa, Fiordiligi e Dorabella contemplano ammirate il ritratto dei due ufficiali e si ripromettono di affrettare i preparativi perché le nozze avvengano nel più breve tempo possibile. Preceduti da Don Alfonso, entrano Ferrando e Guglielmo, che con tristezza annunciano di essere stati richiamati in battaglia. Gli addii sono strazianti, le fanciulle si mostrano sinceramente dispiaciute; ma è troppo presto per i due giovani per cantare vittoria. Tornate a casa, le sorelle si imbattono in Despina, la cameriera, che consiglia le padrone di non affliggersi troppo, ma di prendere con filosofia la lontananza dei fidanzati. Le parole di Despina scandalizzano le sorelle, ma non certamente Don Alfonso che coinvolgerà la ragazza nel complotto. Poco dopo due albanesi – ovvero Guglielmo e Ferrando travestiti – si dicono innamorati di Fiordiligi e Dorabella, che si oppongono indignate. Guglielmo e Ferrando, una volta allontanatesi le ragazze, appaiono ancor più soddisfatti e manifestano il loro giubilo a Don Alfonso, che tuttavia vuole insistere nella burla. Sole in giardino, Fiordiligi e Dorabella vedono arrivare i due albanesi che, fingendo di essersi avvelenati perché respinti, stramazzano a terra. Le ragazze, mosse a pietà, si avvicinano ai forestieri, pregando Despina di correre a cercare un medico. Travestita da medico, riappare Despina stessa che, con una pietra miracolosa, riesce a scuotere i due finti avvelenati.
Atto II
Fiordiligi e Dorabella sembrano meno sicure dei loro sentimenti e cercano di convincersi a vicenda che non ci sarebbe nulla di male se mostrassero maggior benevolenza nei confronti dei tenaci corteggiatori. Quando giungono i due giovani, sempre travestiti, la più focosa Dorabella offre a Guglielmo, in cambio di un medaglione, il ritratto del proprio fidanzato, mentre Fiordiligi appare meno sensibile alle insistenti premure di Ferrando. Guglielmo è felice, pur rammaricandosi di dover togliere a Ferrando qualunque illusione sulla costanza della sua fidanzata. Fiordiligi vuole conservarsi fedele al suo fidanzato e decide di raggiungerlo immediatamente al campo. Ma sorpresa da Ferrando, a lui saranno sufficienti poche parole per vincere le ormai deboli resistenze della fanciulla. È ora Guglielmo a lamentarsi della sua fidanzata; ma Alfonso è lì, pronto a trarre la morale dagli ultimi eventi: è inutile disperarsi e minacciare vendetta, in quanto tutte le donne sono simili fra di loro. Cadute le ultime resistenze, Fiordiligi e Dorabella si dichiarano disposte a sposare i ricchi spasimanti, e le due coppie sono pronte per la festa nuziale; interviene un notaio (Despina mascherata), quando si ode un vicino rullo di tamburo. Alfonso annuncia l’imminente ritorno dal campo dei due ufficiali; le ragazze, spaventatissime, nascondono i due albanesi, un attimo prima che giungano, in divisa militare, Guglielmo e Ferrando. Questi fingono sorpresa nel trovare le promesse spose turbate per il loro ritorno; quando poi scoprono il contratto, mostrano la massima indignazione per il tradimento e si avviano nella stanza accanto per impartire una solenne lezione ai rivali. Poco dopo ne riescono, rivestiti in albanesi, e rinfacciano alle ragazze la loro infedeltà; queste rimangono confuse, ma alla fine l’intervento di Don Alfonso ha il potere di ristabilire fra i quattro giovani, più innamorati che mai, la pace e la desiderata serenità.
COSÌ FAN TUTTE ovvero COSÌ FAN TUTTI…
L’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene
Jean-Jacques Rousseau
Tutto in Così fan tutte sembra leggero, tenue e ostentatamente simmetrico. Eppure, dietro l’apparente leggerezza, aleggia una striatura di amarezza cinica che accompagna l’indulgenza rassegnata sulla debolezza dell’essere umano. La mancanza di fedeltà delle donne di Così fan tutte è provocata, e persino superata, dalla mancanza di scrupoli dei loro uomini: la supponenza di credersi intoccabili e unici nel cuore delle proprie donne, insieme alla passione per il gioco fine a se stesso, non li fanno cedere durante la commedia di seduzione; essi, anche potendo interrompere in qualsiasi momento l’infantile gioco al massacro proposto da Don Alfonso, orgogliosamente non demordono e, arrivati a scoprire quello che li distrugge, anche se manifestano esageratamente le loro ‘sofferenze’, si lasciano ‘menare per il naso’, continuando a fare quello che ‘è giusto fare…’. Le due fanciulle, che si svelano fin dal titolo, sono capaci di tradire i loro fidanzati nel giro di poche ore senza tanti indugi. Anch’esse sono sventate, superficiali, pronte a giocare con i sentimenti, nonostante le loro esternazioni moraleggianti e sempre fuori misura. I quattro giovani non sono dei caratteri, nel senso naturalistico, ma delle marionette, sostanzialmente intercambiabili, dell’ordine stabilito: caricature dell’essere umano, pedine di una società allo sbando, condizionati da una scala di valori decaduti, dove i veri sentimenti non contano.
Tutto fa credere che sia del cuore umano che Mozart è deluso.
Don Alfonso è l’incombente regista, estrinseco alla storia, seppur determinante motore della vicenda. Egli rappresenta l’uomo pragmatico, seguace della ragione. Fiducioso nel progresso di cui la scienza e la filosofia illuminista si fanno portatori, ma profondamente pessimista sulla natura dell’essere umano, rende libere le marionette dai fili che le governano, e si diverte a metterle alla prova, con l’inconsapevole complicità di Despina, cercando di trasformarle in esseri umani. Egli manipola le sue cavie, le prende in giro, le provoca per stimolare le loro reazioni, e poi, deluso dalle loro scelte, che confermano però le sue teorie, ne ride sarcasticamente. È proprio il mio vedere in Don Alfonso un mefistofelico alchimista quello che fa di lui il personaggio ideale per raccontare la mia versione di Così fan tutte, che vorrebbe essere una risata divertita, ma profondamente amara e cinica, sulla crisi di valori in una società che, pur a distanza di secoli, non sembra molto diversa dalla nostra…
Una luce violenta e spietata, quasi da tavolo operatorio, invade tutti gli angoli, cancellando ogni ombra, mettendo in evidenza gli spigoli e i profili di un ambiente di artificiosa limpidezza, di patinata nettezza. La storia si svolge sotto questa accecante riverberazione, che obbliga a guardarsi dentro prima di giudicare e criticare i personaggi della vicenda.
Sotto questa lente di ingrandimento, quando i ‘corteggiatori’ stranieri conquistano il cuore delle ragazze, mi sembra di intuire una sincerità nei sentimenti: chissà se l’essere non possa avere la meglio sul sembrare?
La dimensione in cui si svolge l’azione non vuole essere definita realisticamente. La scena segue un concetto rettilineo dello spazio dove i personaggi – marionette che diventano cavie per poi scegliere di tornare ad essere marionette – vivono all’interno di una griglia espressa in forma di pavimentazione a scacchiera e di setti mobili. Solo nel momento, peraltro brevissimo, in cui i sentimenti saranno sinceri, si leggerà flessuosità, una rottura della geometria, una naturalezza che però, alla fine dell’opera, la rigidità delle convenzioni sociali – padrona nella vita di questi personaggi –tornerà subito ad irrigidire.
Silvia Collazuol