PocketOpera – V edizione
Melodramma in tre atti. Musiche di Giuseppe Verdi. Libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo.
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 11 marzo 1851
Adattamento musicale Bruno Moretti
Duca di Mantova Sergio Escobar
Rigoletto Giuseppe Pizzicato
Gilda Arianna Ballotta
Sparafucile Carlo Malinverno
Maddalena Marianna Vinci
Giovanna Sara Palana
Il Conte di Monterone Andrea Tabili
Marullo Stefano Cianci
Matteo Borsa Alessandro Mundula
Il Conte di Ceprano Paolo Targa
La Contessa di Ceprano Sara Palana
Paggio Barbara Volta
Cortigiani Elisa Carnelli, Marco Ferro
Luca Granziera, Michele Mele
Direttore
Andrea Raffanini
Regia e luci
Federico Grazzini
Scene Francesco Givone
Costumi Valeria Bettella
Orchestra 1813
Produzione AsLiCo
Nuovo allestimento
Atto primo
La storia è ambientata a Mantova nel secolo XVI. Durante una festa a palazzo ducale, il duca corteggia la contessa di Ceprano, ma è attratto anche da una fanciulla che ogni domenica si reca, in incognito, in chiesa. D’altronde, le donne sono per lui tutte da conquistare indistintamente, purché avvenenti. Il gobbo Rigoletto, buffone di corte, provoca il conte di Ceprano, e i cortigiani meditano di punire la sua insolenza. Il conte di Monterone, cui il duca ha sedotto la figlia, maledice Rigoletto per averlo dileggiato. Intanto, nei pressi della sua casa, Rigoletto viene avvicinato di notte da un sicario, Sparafucile, pronto ad offrirgli i suoi servigi in caso di necessità. Solo, Rigoletto confronta la sua lingua beffarda con la spada di Sparafucile, ma la maledizione di Monterone l’ha turbato, perché teme per l’incolumità di sua figlia Gilda. Nel tenero incontro tra padre e figlia, la giovane vorrebbe sapere chi è stata sua madre. Una donna simile ad un angelo, morta prematuramente – risponde addolorato Rigoletto. Alla domestica Giovanna, Rigoletto raccomanda di vegliare su Gilda, ma allontanatosi Rigoletto, lascia entrare in casa il duca, che si presenta a Gilda sotto il falso nome di Gualtier Maldé, un povero studente, di cui la fanciulla, pur senza sapere chi sia, si è innamorata. I cortigiani intendono rapire Gilda da loro ritenuta l’amante segreta di Rigoletto, che tuttavia rientrando a casa li sorprende. Nel buio, Borsa fa credere a Rigoletto che voglia insieme ai suoi compagni rapire la contessa di Ceprano. Rigoletto viene bendato perché tutti sono mascherati, ma i cortigiani rapiscono Gilda. Rigoletto, rimasto solo e resosi conto della beffa, si ricorda della maledizione di Monterone e si dispera.
Atto secondo
In una sala del palazzo ducale. Il duca, turbato per non aver più ritrovato Gilda nella casa di Rigoletto, medita di vendicarsi e pensa alle pene e allo spavento di Gilda. Entrano i cortigiani che gli annunciano di aver rapito l’amante di Rigoletto e di averla condotta a palazzo: il duca corre esultante a raggiungere Gilda. Giunge Rigoletto che inveisce contro i cortigiani, ma poi invoca la loro pietà. Gilda lo raggiunge per raccontargli del suo incontro con il duca e di come sia stata da lui tradita ed oltraggiata. Rigoletto cerca di confortarla ma decide di vendicare l’oltraggio suo e di Monterone, mentre Gilda, nonostante tutto, invoca pietà per il duca.
Atto terzo
In riva al Mincio, di notte, nella locanda di Sparafucile. Maddalena, sorella del sicario, ha attirato qui il duca che la corteggia. Arrivano anche Rigoletto e Gilda, quest’ultima in abiti maschili, per constatare come il duca le sia infedele. Travestito da ufficiale di cavalleria, il duca canta un’aria sulla volubilità delle donne. Maddalena si beffa del suo corteggiatore, Gilda ricorda con amarezza le false lusinghe del duca; Rigoletto la esorta a dimenticare. Gilda si allontana e Rigoletto anticipa a Sparafucile dieci scudi per uccidere il corteggiatore di Maddalena. Scoppia un uragano in lontananza: Maddalena, innamorata del duca, implora Sparafucile di risparmiare il giovane che nel frattempo riposa nel granaio. Sparafucile decide di uccidere il primo viandante che chiederà ospitalità nella locanda, consegnando poi il corpo chiuso in un sacco a Rigoletto. Ma il primo viandante è proprio Gilda che, spinta dall’amore per il duca, è tornata alla locanda ed ascolta non vista il dialogo tra Sparafucile e Maddalena. Decisa a sacrificarsi, viene pugnalata da Sparafucile, che consegna a Rigoletto il sacco. Mentre il duca si allontana beffardo, Rigoletto scopre sconvolto la vera identità del cadavere. Gilda è ancora viva, agonizzante, ma presto muore tra le braccia paterne, dopo aver chiesto perdono per sé e il suo seduttore.
Una sinistra tenebra aleggiava ora su di noi, ma dalle lattescenti profondità dell’oceano si levava un riflesso luminoso a circondare l’imbarcazione di una luce irreale E.A. Poe
Gli uomini hanno bisogno di mostri per diventare umani J. Gil
In Rigoletto sono possibili diversi livelli di lettura e interpretazione, paragonabili a tante sfere concentriche. È importante tenerne conto per costruire un’idea registica che non sia bidimensionale, ma che valorizzi la prospettiva drammaturgico musicale di Verdi. È stato fondamentale seguire l’indicazione che Verdi dette a Piave per concepire il libretto, “stare attaccati al francese per non sbagliare”. Il lavoro di analisi è partito dal dramma di Hugo, Le Roi s’amuse, per arrivare a comprendere le peculiarità dell’opera di Verdi. Il dramma romantico di Hugo è un teatro essenzialmente politico. Nella prefazione a Lucrezia Borgia scrive a chiare lettere che il teatro dovrebbe essere “una tribuna politica, un pulpito per istruire il popolo” e che è necessario che si faccia portatore di “una morale austera e profonda”. Hugo auspica la diffusione di idee morali e compassionevoli per combattere l’ingiustizia sociale. Già dalla precedente prefazione al Cromwell aveva chiarito questi concetti e teorizzato la sua idea di dramma. Idea basata essenzialmente sulla dialettica tra il sublime e il grottesco.
L’uomo moderno per Hugo, dal cristianesimo in poi, è scisso in due esseri: perituro l’uno e immortale l’altro. Il carnale, incatenato alle passioni e agli appetiti, e l’etereo, teso senza tregua verso il sogno e il cielo. Il dramma nasce dalla lotta quotidiana di questi opposti che si contendono l’uomo dalla culla alla tomba. Il teatro diventa uno specchio della vita con le sue zone di ombra e luce, uno specchio che riflette, trasformando in arte, la realtà. La realtà infatti scaturisce dalla combinazione assolutamente naturale del sublime e del grottesco. Ambiti che, secondo Hugo, dovrebbero incrociarsi in un gioco chiaroscurale come s’incrociano nella vita.
Shakespeare è il modello imprescindibile di questa concezione, perché “è il dramma” capace di fondere grottesco e sublime, terribile e buffonesco, tragedia e commedia. Questo dualismo è ben rappresentato dal personaggio di Triboulet che diventerà poi Rigoletto. Verdi trovò “bellissima” la dicotomia nel personaggio del buffone “esternamente difforme e ridicolo e internamente appassionato e pieno d’amore”. Uno spiraglio di luce sublime avvolto da una scorza d’ombra. È dall’idea di conciliare questi due aspetti in un personaggio, dal loro entrare in conflitto che nasce il dramma. “La paternità che santifica la mostruosità” per dirla con le parole di Hugo. “Alla cosa più orrenda mescolate un’idea religiosa e diventerà santa. Appendete Dio alla forca: ecco la croce”.
Rigoletto è “solo e difforme”, la sua condizione è posta dove meglio può risaltare, ossia sul piano più infimo, più sotterraneo e più disprezzato dell’edificio sociale: Rigoletto è “povero” e “malato” di un imprecisato male, questa molteplice miseria lo rende malvagio. La sua possibilità di sopravvivenza è legata al suo lavoro di buffone nella corte del Duca. Rigoletto perverte il Duca, lo spinge all’abbrutimento e alla tirannia, all’arroganza e al vizio. Il Duca è “solo una mostruosa marionetta”, come scrive Hugo a proposito del re Francesco I, “che distrugge le esistenze che il buffone si diverte a mettere sulla sua strada”. La vita dissoluta che Rigoletto conduce nella corte e la sua misera condizione lo rendono ai suoi stessi occhi mostruosamente “vile e scellerato”. Nella sua vita privata però è padre, ha un cuore, è capace di amare. Non ha che una figlia al mondo e la alleva lontano dalla corte nell’innocenza, nella fede e nel pudore. Questa è la situazione di partenza.
Ma il soggetto autentico del dramma sta nella maledizione. Un tema, secondo Verdi, “morale al sommo grande”, una sorta di tema del destino che riaffiorerà per tutta l’opera. Maledizione che non ricadrà sulla vita pubblica di Rigoletto – buffone ma su Rigoletto – padre, sulla sua vita privata. La maledizione di Monterone, un espediente magico sacrale, mette in crisi Rigoletto e lo pone davanti alle sue responsabilità: le sue azioni malvagie di buffone potrebbero sconvolgere la sua vita di padre. E infatti dalla maledizione in poi l’effetto boomerang delle sue azioni lo condurrà alla tragedia. Il padre sarà travolto dal buffone: Rigoletto vuole rapire la Contessa di Ceprano per il re e rapisce sua figlia, vuole uccidere il Duca ed è sua figlia che uccide. I modi brutali dell’assassinio gli si ritorcono contro trasformando l’atto di giustizia di un padre disonorato nell’autodistruzione di un buffone cinico e crudele.
Il Duca, abituato all’esercizio dispotico del potere, nella sua arroganza, non è toccato dalla maledizione; riconosce in Monterone un problema di ordine pubblico e non politico, si sente chiamato in causa solo per un istante prima di liberarsi del problema con la violenza della forza pubblica: “…è matto, arrestatelo!”. È il prototipo di una classe spregiudicata che tutto vuole dominare. Egli è preda di tutte le passioni più effimere che con prontezza tenta di soddisfare. Le melodie di Verdi connotano meravigliosamente questa triviale volubilità. Anche nel momento del dubbio (“Parmi veder le lacrime”), nella celebre scena aggiunta da Verdi per aggirare la censura, il Duca resta un seduttore impenitente, colto in un momento di pura autoillusione e tradito subito nei suoi intenti reali dalla cabaletta “Possente amor mi chiama…”: l’istinto più brutale prevarrà ancora sulla riflessione. Il meccanismo attuato sul personaggio di Rigoletto è qui ribaltato, all’anima nera del Duca corrisponde un involucro scintillante di vitalismo da “giovin giocondo, si’ possente e bello”.
Il fatto che il Duca resti impunito non è casuale e non è una distrazione drammaturgica, come talvolta è stato sentenziato. L’impunità del Duca fa parte di un disegno preciso. Bisogna risalire a Hugo per comprenderne la funzione. Abbiamo visto come egli si proponga di offrire al popolo una filosofia, “un balsamo per le piaghe nascoste della società”. Nel connotare i cortigiani come “vile razza dannata”, non sembra cercare nella nobiltà un interlocutore. Sembra piuttosto voler rimandare al pubblico, a quella borghesia sempre più influente negli anni in cui scriveva, la responsabilità di fare giustizia su chi continuerà inesorabilmente a perpetrare l’ingiustizia sociale. Il Duca resta impunito e se ne va cantando, continuerà a divertirsi. Il fatto che Verdi faccia riconoscere a Rigoletto il cadavere di Gilda attraverso il baldanzoso canto del Duca (un’ultima apparizione quasi da incubo del personaggio) non è assolutamente casuale. In Rigoletto, come nella storia dell’umanità, sono i miserabili a pagare. Rigoletto troverà il suo bene più grande avvolto in un sacco rattoppato che era in uso tra i macellai del tempo.
Qual è la morale “austera e profonda” che ne deriva? Mi pare che nel dramma del buffone, Triboulet o Rigoletto che sia, risuoni un monito, un avvertimento dei rischi che comporta una vita scissa tra ciò che si fa (la vita pubblica – il grottesco) e i propri ideali (la vita privata – il sublime). La volontà di tenere questi due ambiti ostinatamente divisi, il loro entrare in conflitto, porterà ineluttabilmente alla tragedia: il buffone, la maschera sociale, ucciderà il padre, la speranza di una vita migliore, di un riscatto sociale. La maledizione diventa quindi l’espediente per mettere in conflitto questi due ambiti, e far crollare ogni separazione. Il Do naturale con cui si manifesta diventa l’epicentro del terremoto dei sentimenti.
Rigoletto ci restituisce un’immagine infranta dell’esistenza borghese, scissa fra cinismo e utopia positiva. Il teatro diventa la lente d’ingrandimento di un fatto sociale, oltre alla virtù vi s’impara la rivolta e la sete di libertà. Di fronte ad una società dove regnano il male e la corruzione, i valori da esaltare diventano la nobiltà d’animo e la potenza spirituale dell’amore. Una contrapposizione che Verdi restituisce intrecciando le atmosfere da incubo ai tratti sfumati del sogno. Per questo Gilda è l’eroina romantica per eccellenza. Nonostante la tradizione ne abbia fatto un personaggio petulante, essa è una grande donna, colpevole solo di amare. Sarà vittima non tanto dell’amore per il Duca, quanto dell’amore per l’immagine sognata del Duca.
Federico Grazzini