Melodramma in tre atti. Musica di Giuseppe Verdi. Libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio.
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853
Violetta Valéry Francesca Sassu, Cristin Arsenova
Alfredo Germont Valerio Borgioni, Vincenzo Spinelli
Giorgio Germont Vincenzo Nizzardo
Flora Bervoix Reut Ventorero
Annina Sharon Zhai
Gastone Giacomo Leone
Barone Douphol Alfonso Michele Ciulla
Marchese d’Obigny Alessandro Abis
Dottor Grenvil Nicola Ciancio
Giuseppe Ermes Nizzardo
Domestico di Flora, Un commissario Filippo Quarti
Direttore
Enrico Lombardi
Regia
Luca Baracchini
Scene Francesca Sgariboldi
Costumi Donato Didonna
Lighting designer Gianni Bertoli
Coro OperaLombardia
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Nuovo allestimento
Coproduzione Teatri di OperaLombardia e Fondazione Rete Lirica delle Marche
Atto I
Un’affiatata compagnia di gaudenti aristocratici e compiacenti damigelle si è riunita per trascorrere l’ennesima notte di piaceri. Un po’ disorientato è Alfredo Germont, fattosi introdurre dall’amico Gastone col proposito di conoscere personalmente la padrona di casa, oggetto di segreta passione. Violetta si fa celia di tante attenzioni e per sdrammatizzare propone un brindisi collettivo. La festa prosegue e nel salone contiguo si aprono le danze; gli invitati accorrono, ma un accesso di tosse frena l’uscita di Violetta, che indugia, assistita da Alfredo. Alle profferte amorose dell’uno si mescolano le ricuse divertite dell’altra, che a un uomo non può promettere altro che amicizia. Catturati nuovamente dal turbinio della festa, i due si danno appuntamento per il giorno seguente. È ormai l’alba e Violetta, rimasta sola, medita turbata sull’effetto sortito in lei dalle parole di Alfredo: che sia forse giunto il giorno del suo primo vero amore, il momento di «essere amata amando»? No di certo. Il destino di Violetta è ben altro: continuare nella sua condizione di gaudente indipendenza sociale.
Atto II
In una casa di campagna presso Parigi, Alfredo vive serenamente con Violetta. Ma la servetta Annina, testé giunta da Parigi, lì inviata dalla padrona per alienare i beni restanti e finanziare così la nuova esistenza. Alfredo corre egli stesso a Parigi, per cercare una soluzione adeguata. Rientra Violetta, che sorride di un invito che le giunge dai vecchi amici per la sera stessa: non è più vita per lei! Ed ecco piombare inatteso il padre d’Alfredo che chiede alla donna una netta recisione della convivenza peccaminosa. Violetta oppone tutto il suo disinteressato amore per Alfredo a quello ipocrita dei matrimoni combinati fra l’alta società, ma il vecchio Germont è irremovibile. La donna cede e l’accordo è presto fatto. Rimasta sola, Violetta si appresta a scrivere la lettera mendace per Alfredo; da questi sorpresa, si abbandona ad una straziante richiesta d’amore. Violetta fugge verso Parigi; la lettera viene recapitata all’amato pochi minuti dopo: questi l’apre, la legge e cade disperato fra le braccia del padre. Alfredo si arrovella per scoprire chi possa essere la causa dell’improvviso voltafaccia di Violetta (forse Douphol?), mentre il padre torna all’attacco sul suo fronte moralistico. È invece un foglio abbandonato sul tavolo a colpirlo: l’invito per la sera stessa al solito festino gaudente; è lì che l’offesa verrà vendicata.
Zingarelle e toreri invadono il salone coi loro canti festosi. La notizia della separazione fra i due amanti circola già in società, e l’ingresso disinvolto di Alfredo alla festa viene salutato con approvazione. Giunge Violetta, accompagnata dal barone Douphol. Alfredo sbanca tutti al tavolo da gioco, rivale compreso. I convitati si allontanano per la cena, tranne Violetta, che chiama a sé proprio Alfredo. Lei è costretta ad ammettere di amare Douphol, pur di non svelare il vero, e lui ne denuncia pubblicamente la condotta, gettandole ai piedi una borsa di danaro. Giunge inatteso Germont padre che continua le sue querimonie contro il comportamento indecoroso del figlio, cui si accodano le espressioni di rimorso di Alfredo, le dolenti rimostranze di Violetta.
Atto III
La tisi ha ormai condotto Violetta sul letto di morte. Al capezzale l’assistono ancora la fedele Annina e le cure pietose del medico. La sofferenza e l’indigenza di Violetta contrastano con l’opulenza del carnevale parigino, che fa giungere dalla strada i suoi canti festosi. Unica consolazione in tanta solitudine è una lettera che la donna ha ricevuto da Giorgio Germont: l’informa del duello, in cui il barone è rimasto ferito e della partenza di Alfredo dalla Francia; ragguagliato finalmente dal padre sulla verità degli eventi, sta ora facendo ritorno per farsi perdonare dall’amata. Purtroppo è ormai tardi: Violetta rilegge lo scritto, mentre le forze la abbandonano giorno dopo giorno. Ma ecco Annina annunciare che Alfredo è arrivato, e corre fra le braccia di Violetta. Alla rappacificazione immediata, seguono ottimistici progetti per il futuro; Violetta vorrebbe uscire, ma le forze non la reggono più. Anche Giorgio Germont sopraggiunge per l’ultimo conforto: ma dopo pochi istanti di apparente vigore, Violetta cade esanime.