PocketOpera – XIII edizione
Melodramma in tre atti. Musica di Giuseppe Verdi.
Libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853
Violetta Valéry Sarah Tisba
Flora Bervoix Elena Caccamo
Annina Luisa Bertoli
Alfredo Germont Alessandro Fantoni
Giorgio Germont Guido Dazzini
Gastone Ermes Nizzardo
Barone Douphol Luca Vianello
Marchese D’Obigny Filippo Rotondo
Dottor Grenvil Pietro Toscano
Giuseppe Mattia Rossi
Amiche di Flora Selena Bellomi, Veronica Ghisoni, Afra Morganti
Direttore
Jacopo Brusa
Regia
Roberto Catalano
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Ilaria Ariemme
Orchestra 1813
Produzione AsLiCo
Nuovo allestimento
Atto I
Un’affiatata compagnia di gaudenti aristocratici e compiacenti damigelle si è riunita per trascorrere l’ennesima notte di piaceri. Un po’ disorientato è Alfredo Germont, fattosi introdurre dall’amico Gastone col proposito di conoscere personalmente la padrona di casa, oggetto di segreta passione. Violetta si fa celia di tante attenzioni e per sdrammatizzare propone un brindisi collettivo. La festa prosegue e nel salone contiguo si aprono le danze; gli invitati accorrono, ma un accesso di tosse frena l’uscita di Violetta, che indugia, assistita da Alfredo. Alle profferte amorose dell’uno si mescolano le ricuse divertite dell’altra, che a un uomo non può promettere altro che amicizia. Catturati nuovamente dal turbinio della festa, i due si danno appuntamento per il giorno seguente. È ormai l’alba e Violetta, rimasta sola, medita turbata sull’effetto sortito in lei dalle parole di Alfredo: che sia forse giunto il giorno del suo primo vero amore, il momento di «essere amata amando»? No di certo. Il destino di Violetta è ben altro: continuare nella sua condizione di gaudente indipendenza sociale.
Atto II
In una casa di campagna presso Parigi, Alfredo vive serenamente con Violetta. Ma la servetta Annina, testé giunta da Parigi, lì inviata dalla padrona per alienare i beni restanti e finanziare così la nuova esistenza. Alfredo corre egli stesso a Parigi, per cercare una soluzione adeguata. Rientra Violetta, che sorride di un invito che le giunge dai vecchi amici per la sera stessa: non è più vita per lei! Ed ecco piombare inatteso il padre d’Alfredo che chiede alla donna una netta recisione della convivenza peccaminosa. Violetta oppone tutto il suo disinteressato amore per Alfredo a quello ipocrita dei matrimoni combinati fra l’alta società, ma il vecchio Germont è irremovibile. La donna cede e l’accordo è presto fatto. Rimasta sola, Violetta si appresta a scrivere la lettera mendace per Alfredo; da questi sorpresa, si abbandona ad una straziante richiesta d’amore. Violetta fugge verso Parigi; la lettera viene recapitata all’amato pochi minuti dopo: questi l’apre, la legge e cade disperato fra le braccia del padre. Alfredo si arrovella per scoprire chi possa essere la causa dell’improvviso voltafaccia di Violetta (forse Douphol?), mentre il padre torna all’attacco sul suo fronte moralistico. È invece un foglio abbandonato sul tavolo a colpirlo: l’invito per la sera stessa al solito festino gaudente; è lì che l’offesa verrà vendicata.
Zingarelle e toreri invadono il salone coi loro canti festosi. La notizia della separazione fra i due amanti circola già in società, e l’ingresso disinvolto di Alfredo alla festa viene salutato con approvazione. Giunge Violetta, accompagnata dal barone Douphol. Alfredo sbanca tutti al tavolo da gioco, rivale compreso. I convitati si allontanano per la cena, tranne Violetta, che chiama a sé proprio Alfredo. Lei è costretta ad ammettere di amare Douphol, pur di non svelare il vero, e lui ne denuncia pubblicamente la condotta, gettandole ai piedi una borsa di danaro. Giunge inatteso Germont padre che continua le sue querimonie contro il comportamento indecoroso del figlio, cui si accodano le espressioni di rimorso di Alfredo, le dolenti rimostranze di Violetta.
Atto III
La tisi ha ormai condotto Violetta sul letto di morte. Al capezzale l’assistono ancora la fedele Annina e le cure pietose del medico. La sofferenza e l’indigenza di Violetta contrastano con l’opulenza del carnevale parigino. Unica consolazione in tanta solitudine è una lettera che la donna ha ricevuto da Giorgio Germont: l’informa del duello, in cui il barone è rimasto ferito e della partenza di Alfredo dalla Francia; ragguagliato finalmente dal padre sulla verità degli eventi, sta ora facendo ritorno per farsi perdonare dall’amata. Purtroppo è ormai tardi: Violetta rilegge lo scritto, mentre le forze la abbandonano giorno dopo giorno. Ma ecco Annina annunciare che Alfredo è arrivato, e corre fra le braccia di Violetta. Alla rappacificazione immediata, seguono ottimistici progetti per il futuro; Violetta vorrebbe uscire, ma le forze non la reggono più. Anche Giorgio Germont sopraggiunge per l’ultimo conforto: ma dopo pochi istanti di apparente vigore, Violetta cade esanime.
LA TRAVIATA: NOTE DI UN VOLTO
Se siete stato innamorato, veramente innamorato,
avete dovuto sentire il bisogno di isolare dal mondo
l’essere nel quale avreste voluto riversare la vostra intera vita.
Sembra che, per quanto possa essere indifferente a ciò che la circonda,
la donna amata perda profumo e unità al contatto con gli uomini e con le cose.
Alexandre Dumas, La signora delle camelie
All’inizio di questa storia c’è una donna sola. Intorno a lei uno spazio espositivo. Sotto la luce che è appena entrata, si delineano poco a poco i contorni delle foto in mostra. Dal buio vanno emergendo lentamente sorrisi, occhi e labbra socchiuse. Sono dettagli di un volto. Il volto è quello di Violetta. Ad essere esposta, in questa mostra personale, è una donna che si è fatta a pezzi. Davanti alla grande parete dove le foto sono appese, ci sono uomini e donne che osservano. Violetta si muove leggera tra la folla, del tutto consapevole di dispensare sorrisi a chi, tra poco, si ciberà di lei. I clienti toccano il materiale fotografico a disposizione, lo commentano, disquisiscono sulla luce e sulla bellezza di colei che in quegli scatti è ritratta. Intanto Alfredo è già entrato e da questo momento tutto può essere diverso da come è sempre stato. Gli acquirenti si impossessano delle foto strappandole alla parete su cui erano appese un attimo prima. Violetta accusa il colpo destando l’attenzione di tutti. È successo un’altra volta. Le mani degli altri, divenute proprietarie dei frammenti di vita di quella donna, stringono forte i primi pezzi di qualcosa che, forse, si spera un giorno di poter possedere per intero. Ogni mostra ne è l’occasione. Ci si porta via quanto più possibile. E Violetta si spacca un’altra volta, lasciandosi andare verso occhi e case sconosciuti, dove gli uomini brameranno osservarla, aggiungendo, da collezionisti ossessionati, un pezzo alla volta a quel volto scomposto e incompleto. Ma Alfredo è entrato, e dopo averlo fatto tutto è diverso. Una porta si chiude e lo spazio espositivo si spegne. Violetta si lascia amare di un amore sempre sognato, in un luogo lontano, dove nessuno potrà più divorarla. Ma il destino ineluttabile attraversa le nuove stanze, e Violetta sceglie di sacrificarsi per l’unico uomo che abbia mai amato e da cui abbia mai ricevuto amore. E allora comincia, alla fine di una vita che corre e fa la guerra al tempo, la battaglia di una donna che lotta per ritrovarsi, un frammento alla volta, per ricomporre l’immagine perduta, e restituirla al mondo, cercando un’espiazione. La luce illumina ancora una volta la fotografia di un volto. Nessun frammento sparso. Violetta ci sorride. Roberto Catalano
Amore e Morte fu il primo titolo pensato da Verdi per La traviata ma, per ragioni di censura, lo sostituì con quello, celeberrimo, che conosciamo. Tuttavia, la prima idea definisce perfettamente il dualismo predominante di tutta l’opera, fin dal Preludio.
Il corale affidato ai violini, con il quale si apre l’opera, è la dichiarazione della Morte che, con tanta insistenza, si ripresenterà nell’ultimo atto e ci confermerà che questa vicenda non può che concludersi con la fine di Violetta, riscattata moralmente e socialmente grazie al sacrificio per Amore, lo stesso Amore che musicalmente prorompe in uno dei momenti più celebri, quell’«Amami, Alfredo» che si insinua nel Preludio e completa la dichiarazione programmatica de La traviata: Amore e Morte e viceversa.
Questo dualismo si riscontra anche nel colore generale dell’opera che, inevitabilmente, Verdi cerca nelle sfumature dei piani e pianissimi che vanno dal generico p al precisissimo ppppp della Marcia funebre finale che accompagna ‘eroicamente’ la redenta Violetta alla morte. Parallelamente, anche l’altro tema dell’Amore presente nell’opera («Di quell’amor ch’è palpito») si sviluppa poi nel pianissimo degli archi.
Amore e Morte, tuttavia, non è l’ unica ‘disfida’ presente ne La traviata. La contrapposizione sociale del mondo ‘nuovo’ in cui vivono Violetta ed Alfredo e il mondo ‘vecchio’ di Giorgio Germont, infatti, si risolve solo nel Finale, in cui Germont chiede perdono per ciò che ha fatto e, in questo modo, sembra disconoscere il mondo ipocrita nel quale ha sempre creduto.
L’ipocrisia, per l’appunto, è l’altra grande ‘nemica’ di Violetta ed Alfredo e, musicalmente, Verdi la sottolinea inserendo un Valzer che accompagna, da lontano, il primissimo momento intimo dei due innamorati, come se la società (contemporanea di Verdi) commentasse ‘alle spalle’ dei due l’amore tra un gentiluomo e una prostituta. Tale ‘commento’, peraltro, viene immediatamente preceduto da un altro Valzer, nonché dal brano più famoso dell’opera: il Brindisi. Anch’esso non deve e non può essere un momento di vera gioia e festosità. Verdi ha già dichiarato come, oltre all’Amore, la Morte sia la protagonista del dramma e, forse, il dualismo dinamico del celeberrimo tema (forte nell’incipit e pianissimo nella coda) ci suggerisce proprio questo.
Verdi, dunque, è molto preciso nel specificare le dinamiche e i colori che vuole per definire perfettamente il dramma di Violetta che, lo ricordiamo, si rifà al romanzo autobiografico di Alexandre Dumas figlio La dame aux camélias. Marcel Proust nota come Verdi riesca a dare «lo stile che mancava al dramma di Dumas» e questo si può spiegare, forse, con la struttura del melodramma ottocentesco, nel quale devono inserirsi obbligatoriamente arie, tempi di mezzo, cabalette, duetti, concertati e tutto ciò che garantisca momenti lirici in alternanza ai recitativi. La volontà di Verdi, però, è forse quella di discostarsi dalla regola. Sintomatica è la reazione di un critico dell’epoca per il quale La traviata «non era nemmeno musica», e infatti Verdi inizia ad attuare la sua riforma in maniera più completa rispetto alle prime opere. La Musica è al servizio del Teatro, quindi le parti ‘libere’ iniziano ad avere molta più forza drammaturgica rispetto ai recitativi ‘di servizio’ ai quali si era abituati. In questo contesto, risulta chiaro come un momento lirico altissimo come l’«Amami, Alfredo» sia in realtà la conclusione di un recitativo ed è, quindi, molto più forte in una struttura libera dai ‘paletti’ della vera e propria aria. Un altro esempio è la declamazione della lettera da parte di Violetta che assume un potere drammatico molto più alto grazie al ‘leitmotiv’ dell’Amore che la accompagna, invece di essere sostenuto solo da un pedale armonico. Fortissima, infine, la conclusione della lettera stessa con voce ‘sepolcrale’ e parlata dello straziante «È tardi!».
Verdi, dunque, non a caso sceglie La dame aux camélias come soggetto per descrivere la Morte e l’Amore. Il romanzo, infatti, utilizza una scrittura modernissima, quasi una cronaca asettica del dramma di Marguerite Gautier, ma, proprio per questo, ancora più efficace. Il compositore di Busseto fa sua questa modernità di scrittura e, ponendola in musica, compone quella che, ancora oggi, è considerata una delle opere più ‘vere’ e struggenti del melodramma italiano.
Jacopo Brusa