PocketOpera – XII edizione
Tragedia giapponese in tre atti. Musica di Giacomo Puccini.
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dal dramma Madame Butterfly di David Belasco.
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 17 febbraio 1904
Cio-Cio-San Sarah Tisba
Pinkerton Angelo Fiore
Suzuki Arina Alexeeva
Sharpless Matteo Mollica
Goro Mattia Muzio
Yamadori / Commissario Filippo Rotondo
Zio Bonzo Shi Zong
Kate Selena Bellomi
Parenti, amici e servi Veronica Ghisoni, Giacomo Leone, Afra Morganti
Daniele Palma, Adriana Patané, Mattia Rossi
Dolore Thomas Rigamonti
Direttore
Alessandro Palumbo
Regia e progetto luci
Roberto Catalano
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Ilaria Ariemme
Orchestra 1813
Produzione AsLiCo
Nuovo allestimento
Atto I
Una casa con giardino sulla collina di Nagasaki. Il tenente della marina degli Stati Uniti, B. F. Pinkerton visita la casa appena acquistata: sta per sposare una giovanissima geisha, Cio-Cio-San, procuratagli da Goro, sensale di matrimoni. Giunge intanto Sharpless, console americano, al quale Pinkerton espone la sua cinica filosofia di marinaio vagabondo: si è invaghito di Cio-Cio-San e intende ora sposarla secondo il rito giapponese, per 999 anni, salvo a prosciogliersi ogni mese. Sharpless lo invita a riflettere, ma poi brinda con Pinkerton. Scortata dal suo corteo nuziale, giunge Cio-Cio-San, che racconta di essere nata a Nagasaki da famiglia un tempo assai prospera, poi finita in miseria. Presentati i parenti, Butterfly trae in disparte Pinkerton per mostrargli alcuni oggetti della sua dote e gli confessa di volersi far cristiana. Si celebrano finalmente le nozze, mentre il parentado si trattiene per festeggiare. Il terribile zio Bonzo irrompe furibondo e rimprovera a Cio-Cio-San di aver rinnegato la fede degli avi, ma viene cacciato da Pinkerton. Mentre scende la notte, il pianto di Butterfly viene placato dalle ardenti parole di Pinkerton, che stringendola la conduce in casa.
Atto II
Da tre anni, Butterfly aspetta speranzosa il ritorno di Pinkerton. Sopraggiunge Goro con Sharpless, con una lettera da Pinkerton per Cio-Cio-San, che raggiante dà loro il benvenuto. Pinkerton si è risposato in America e verrà presto a Nagasaki con la sua nuova sposa. Sopraggiunge uno dei pretendenti di Butterfly, il ricco Yamadori, ma Cio-Cio-San non vuole saperne, convinta di essere ancora sposata con Pinkerton. Uscito Yamadori, Sharpless comincia a leggere la lettera di Pinkerton, continuamente interrotto da Butterfly. Alla notizia che il marito possa non tornare più, Cio-Cio-San s’arresta e sommessa vede due alternative: tornare a fare la geisha o morire. Affranta, chiede al console di andar via, ma all’improvviso corre via e ritorna trionfante con un bambino in braccio: se Pinkerton l’ha scordata, potrà scordare anche suo figlio? Il console, turbato, informerà Pinkerton dell’esistenza del bambino. Poco dopo, un colpo di cannone annuncia l’entrata in porto di una nave. Cio-Cio-San si precipita e riconosce la bandiera della nave «Abramo Lincoln!». La sua gioia è immensa ed ordina a Suzuki di cogliere tutti i fiori del giardino per adornare la casa. Indossato l’abito da sposa, Cio-Cio-San veglia in attesa dell’arrivo dello sposo.
Atto IIII
Giunge l’alba, Butterfly si lascia convincere da Suzuki ad andare a riposare un poco. Pinkerton si presenta subito dopo, con Sharpless e Kate, la moglie americana, per convincere Butterfly ad affidargli il piccolo. Quando apprende come Butterfly lo abbia atteso in quei tre anni, si allontana colmo di rimorsi. Quando Butterfly entra sollecita nella stanza, scorge Kate anziché Pinkerton, e finalmente comprende chi è: consegnerà il piccolo soltanto a «lui», se avrà il coraggio di presentarsi in persona. Rimasta sola crolla ed ordina a Suzuki di ritirarsi con il bambino. Risolutamente, estrae il coltello con cui suo padre si è ucciso, ma all’improvviso Suzuki spinge nella stanza il bambino. Butterfly lascia cadere il coltello, si precipita verso il piccolo, lo abbraccia soffocandolo di baci e, dopo avergli rivolto uno straziante addio, lo allontana. Quindi raccoglie il coltello e si uccide. Nello stesso istante, invocandola da lontano, accorre, ormai tardi, Pinkerton.
UN GRAFFIO DI DOLORE
Noi siamo gente avvezza
alle piccole cose umili e silenziose,
ad una tenerezza sfiorante e pur profonda
come il ciel, come l’onda del mare!
All’inizio è solo un sogno. Madama Butterfly ci dà le spalle; è notte, e noi precipitiamo nel suo incubo ricorrente, dove l’attesa è infinita e l’orizzonte al quale lei si rivolge tutte le volte in cui chiude gli occhi, è vuoto e silenzioso. Nessuna nave in vista. Chiunque lei aspetti, non è venuto neanche questa volta. Ma è solo un sogno; lo stesso di ogni notte. Prima o poi qualcuno verrà a prenderla e andarsene sarà dolce e nuovo; il suo mondo è un orizzonte aperto, e le sue mani, ogni volta che chiude gli occhi, si muovono per toccarlo, disegnarci sopra qualcosa e, forse, riempirlo. Ma gli occhi si aprono e un uomo giunge davvero, approdando con la sua nave, dopo aver attraversato un orizzonte reale. Lui è B. F. Pinkerton, un americano venuto a sposare Butterfly. È da poco entrato nella casa dove possiamo scorgere solo una grande parete bianca. È uno spazio inviolato; uno spazio soggetto a qualunque cambiamento possibile. L’Oriente è un luna park. Un paese dei balocchi per occidentali arroganti e senza scrupoli. Pinkerton è un occidentale e Butterfly verrà rinnegata nella notte più felice, la stessa notte dove ha luogo l’inizio del sogno che lei chiama libertà. Le parole di Pinkerton riempiono la mente di Butterfly e gettano il seme che germoglierà presto come un cancro; è un graffio, un solco provocato con noncuranza e distrazione dall’uomo che, con un gesto della mano, sporca la grande parete bianca della casa intatta; mani americane che macchiano irrimediabilmente la stanza. Il segno, l’idea che le è stata innestata dall’uomo che adesso la ghermisce, si trasformerà. Crescerà. Muterà e diventerà forte; si prenderà tutto, così Butterfly precipita tra le braccia dell’uomo che promette e incanta. La notte adesso è totale. È da qui, da questa notte fatta di promesse, che Butterfly amplificherà quel graffio inconsapevolmente. Butterfly precipita così nel suo sogno lucido, dove il solco lasciato da Pinkerton ha generato l’immagine di un mondo ideale. La linea scura, la ferita che ha macchiato per sempre il suo spazio, è diventata un orizzonte. Ha dipinto un mare, e delineato i confini di un mondo nuovo. Ecco come Butterfly ha passato gli ultimi tre anni della sua vita. L’orizzonte è lì. Immobile, complice, di un microcosmo inventato e pervaso dalla speranza del ritorno. Ma Pinkerton non c’è e quel piccolo mondo disegnato sopra la lunga ferita nera, è finto. Vistosamente finto. Soltanto lei si ostina a difenderlo. Pinkerton torna nella casa dove tutto è cominciato, al suo fianco, una donna: è sua moglie. Tutto è perduto. L’americano affonda nel suo misfatto. Addentrandosi sempre di più nell’abominio del suo operato, si renderà conto di quale anima ha toccato. Scapperà, perché non riuscirà a reggere la bellezza di cui Butterfly è pregna; una bellezza nata da un graffio inconsapevole. Butterfly, ora, è destinata ad un’attesa eterna. La casa si svuota. Resta soltanto lei, abbracciata dal suo mondo costruito ad arte. La ferita è un graffio di luce che ne illumina i contorni. Il suo destino è guardarlo per sempre. Dopo aver detto addio al figlio, coraggiosa e determinata, si toglierà la vita con un gesto che vedrà morire la sua parte più profonda, così che al mondo di Butterfly non resti niente. Solo un graffio, da cui sgorgano ancora fiori.
Roberto Catalano