2009 L’italiana in Algeri
2009 L’italiana in Algeri
2009 L’italiana in Algeri
2009 L’italiana in Algeri
2009 L’italiana in Algeri

2009 L’italiana in Algeri

PocketOpera – IV edizione

Dramma giocoso per musica in due atti. Musica di Gioachino Rossini. Libretto di Angelo Anelli.
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro San Benedetto, 22 maggio 1813
Riduzione e adattamento musicale Daniele Carnini

Isabella Alessandra Volpe
Lindoro Enea Scala
Taddeo Mirko Quarello
Mustafà Gabriele Bolletta
Elvira Valentina Vitti
Zulma Sara Palana
Haly Francesco Paolo Vultaggio

Direttore
Nicoletta Conti

Regista
Roberto Recchia

Scene Salvatore Simone
Costumi Anna Cavaliere
Light designer Emiliano Pascucci

Orchestra 1813

Produzione AsLiCo
Nuovo allestimento

ATTO PRIMO

In un salotto del palazzo di Mustafà, Elvira è angosciata per la freddezza del Bey, suo sposo e signore. Questi vuol liberarsi di lei e – facendo legge del suo capriccio – impone ad Haly, capitano dei corsari, di procurargli una moglie italiana. Elvira dovrà maritarsi con Lindoro, giovane italiano ridotto in schiavitù che a sua volta ama una fanciulla del suo paese. Durante il naufragio sulla spiaggia di un vascello italiano, i corsari del Bey hanno catturato ciurma e passeggeri. Fra questi si trovano Isabella, l’innamorata di Lindoro, ed il suo pavido spasimante Taddeo. Isabella vien subito destinata da Haly al serraglio di Mustafà, ma l’esperta ed astuta italiana è pronta a giocar tutto per tutto. Si fa passare per nipote di Taddeo che, pur recalcitrante, accetta la parte che Isabella gli impone. In una magnifica sala, Isabella viene condotta dinanzi a Mustafà che resta ammaliato dai vezzi della bella italiana: la donna riesce a far liberare Taddeo che rischierebbe altrimenti di finire impalato. Elvira e Lindoro vengono a prender congedo da Mustafà. Isabella riconosce il suo innamorato e chiede chi sia la donna che accompagna Lindoro. Mustafà le rivela il suo progetto, ma Isabella sconvolge tutto il giuoco: Elvira dovrà rimanere con Bey e Lindoro diverrà schiavo personale della bella Italiana. Mustafà protesta, ma poi finisce per cedere perché non resiste al fascino della bella e astuta ragazza.

ATTO SECONDO

Gli eunuchi, Elvira, Zulma ed Haly commentano il mutamento di carattere del Bey, che da tiranno è divenuto lo zimbello di Isabella. Intanto il Bey vuol assicurarsi la complicità di Taddeo, creandolo Kaimakan ossia luogotenente. Il povero spasimante di Isabella, temendo per la propria testa, accetta la carica e l’incarico di convincere la ritrosa fanciulla. Isabella, nel lussuoso appartamento, si abbiglia alla turca, sotto gli sguardi gelosi di Elvira e Zulma. Mustafà, che vuol rimanere solo con lei, avverte Taddeo di andarsene con gli altri non appena l’udrà starnutire. Ma Isabella non è di questo avviso. Dopo averlo incantato con la propria civetteria, invita Elvira a prendere il caffè con loro ed esorta il Bey a tornare dalla moglie. Mustafà, furente nel vedersi raggirato, disubbidito da Taddeo e Lindoro che – nonostante i suoi starnuti – non si decidono ad andarsene, perde la pazienza e giura che si vendicherà. Taddeo, convinto di essere prescelto da Isabella, si unisce a Lindoro per assecondare il suo progetto di fuga per mezzo del quale saranno liberati tutti gli schiavi italiani. A Mustafà i due fanno credere che Isabella vuol conferirgli un titolo onorifico, creandolo suo Pappataci, carica che impone di mangiare, bere, dormire e tacere. Mustafà è estasiato da tanta premura amorosa. Isabella, con l’aiuto di Lindoro, è entrata nel carcere per liberare gli schiavi italiani, con cui organizza la congiura, facendo distribuire una grande quantità di liquore agli eunuchi ed ai mori del palazzo. Mustafà viene ricevuto da molti schiavi italiani vestiti da Pappataci che lo spogliano e lo vestono come loro. Isabella presiede alla cerimonia e, per insegnare a Mustafà, scambia frasi d’amore con Lindoro. Taddeo istruisce il Bey: dovrà solamente mangiare e stare zitto. Il gioco piace a Mustafà, ma all’improvviso giunge un vascello e tutti si affrettano all’imbarco. Taddeo, comprendendo finalmente che Isabella e Lindoro si amano, svela il tradimento a Mustafà, ma questi, da buon Pappataci, non se ne preoccupa, finché non vede che il vascello parte. Allora impreca, chiama inutilmente gli eunuchi e i mori: poi finisce per rifugiarsi nell’amore della fedele Elvira, pronta a perdonarlo.

Cosa ci fa una bella italiana in mezzo al mare assieme a uno sciocco cavalier servente? Ma è naturale, un po’ di turismo esotico nel Mediterraneo. E che fine ha fatto il suo giovane amante Lindoro, anch’egli salpato tempo addietro e mai più rientrato in patria? E quale smania coglie Mustafà di conquistare, tra tante bellezze locali sottomesse e amorevoli, «una di quelle Signorine che dan martello a tanti cicisbei», ovvero proprio un’Italiana? E chi è veramente Elvira, attuale moglie rinnegata di Mustafà, con quel suo nome così poco africano? Con queste premesse ci si potrebbe aspettare di essere di fronte all’ultimo film sui Pirati, solo che non ci sono i Caraibi e non ci sono effetti speciali. Però c’è Rossini, anzi, il ventunenne Rossini, che partendo da un libretto pre-esistente (si sa, il tempo è tiranno, e ventisette giorni al debutto sono davvero pochi…) confeziona un capolavoro di comicità e di intelligenza musicale che mandò in estasi Stendhal. «Follia organizzata e completa», e qui di follia ce n’è parecchia, con quel trionfo dell’esprit de géomètrie che poco spazio lascia alla finesse dei sentimenti: due triangoli amorosi a senso unico (Taddeo vuole Isabella che vuole Lindoro – Elvira vuole Mustafà che vuole Isabella) destinati a non intersecarsi (Isabella non vuole Taddeo – Mustafà non vuole Elvira – Elvira non vuole Lindoro) danno le vertigini ai protagonisti e allo spettatore. Lo spettatore finisce per non accorgersi (o finge di non accorgersi) che in questa storia di tutto si parla fuorché d’amore; e i protagonisti precipitano in un fenomeno di dissociazione collettiva che li porta, al termine del primo atto, ad emettere suoni inarticolati che anticipano di cent’anni le onomatopee di Marinetti. Ma la cosa ancor più stravagante è che in un’opera che si chiama Italiana in Algeri, che noi ambientiamo per puro divertimento in un 1950 post-coloniale, si parla pochissimo di Algeria e moltissimo di Italia: e lo scontro Mustafà-Isabella non è affatto una guerra di culture vicendevolmente estranee, ma nient’altro che uno dei tanti episodi dell’eterna guerra tra i sessi. Il risultato? Un’opera buffa, anzi vertiginosamente buffa, che strizza l’occhio alla farsa per raccontare qualcosa che, sotto sotto, è fortunatamente vero ancor oggi: «a tutti, se vuole, la Donna la fa».

Roberto Recchia

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